Conferenza di Mons. Antonio Livi tenuta a Livorno in occasione del IX Pellegrinaggio toscano a Montenero
Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo il testo della
conferenza che Mons. Antonio Livi ha tenuto a Livorno nell'ottobre
scorso, a coronamento del IX Pellegrinaggio toscano indetto dal nostro coordinamento.
Accattivante nella forma e profondo nel contenuto, ne consigliamo la
lettura a tutti i cattolici che - nelle nebbie dei tempi odierni -
cercano schiarimenti su una corretta vita di fede.
Inizio con qualche battuta scherzosa, ma in realtà devo dire
cose molto serie, molto importanti, alle quali ho già in parte accennato
stamani nell’omelia della santa Messa quando parlavo del «porro unum est necessarium, cioè di quell’unica cosa necessaria
della quale parla Gesù rivolgendosi a Marta, indaffarata in tanti servizi
domestici, per difendere la “scelta” di
Maria che stava ad ascoltare l’insegnamento del Signore.
Parlare dell’unica
cosa necessaria non è un qualcosa di retorico, ma è il richiamo a ciò Gesù
vuole che sia il nostro punto di riferimento, la stella polare del nostro
pensiero, del nostro cuore, della nostra azione, senza la quale stella polare,
senza il quale punto di riferimento accade che i pensieri sono sbilanciati
scoordinati, disordinati e l’azione è sterile. Questo è un discorso tutto evangelico,
perché Gesù ha anche detto: «Chi non semina con me, disperde». Ho detto questo
in termini molto semplici, tutti quanti l’accettate, ma forse al modo in cui si
accettano le cose retoriche. Che cos’è la retorica? È l’arte di dire delle cose senza distinguere tra le cose che
hanno un fondamento di verità e sono intelligenti e le cose che non hanno un
fondamento di verità e possono solo coinvolgere emotivamente e obbligare
all’assenso le persone che sono vittime di questa forma di comunicazione che è
la propaganda. Sto forse parlando di Renzi? No, io non faccio politica, ma
confesso che mi sta cordialmente
antipatico. Lui è un politico e come tutti i politici i politici fanno discorsi
di mera retorica, necessariamente, perché non hanno modo di fare discorsi di scienza: non esiste infatti una scienza
della politica, come non esiste una scienza dell’economia. Proprio ieri leggevo
quel che un economista mio amico, Ettore Gotti Tedeschi, scriveva sul giornale
“La Verità”: per un progetto economico, per un programma economico non ci sono
dati scientifici, per ciò che bisognerebbe assolutamente fare. Sono tutte
teorie, tutte opinioni, l’una vale l’altra e alla fine prevale quella
dell’interesse di chi la propone o di chi la osteggia. Né chi la propone né chi
la osteggia possono basarsi sulla verità assoluta.
Detto questo, qual è il dramma della Chiesa di oggi? La Chiesa di oggi segue una tendenza pastorale che parte dal discorso famoso, anzi famigerato di Giovanni XXIII (faccio fatica a chiamarlo san Giovanni XXIII, perché una canonizzazione che avviene fuori dalle leggi canoniche pone dei problemi), un discorso col quale apriva il Concilio vaticano II: Gaudet Mater Ecclesia. In questo discorso Giovanni XXIII diceva che la Chiesa mette da parte l’arma della condanna e usa quella della misericordia. La Chiesa sceglie di non condannare più gli errori perché si è resa conto che gli erranti già sanno di essere nell’errore e in cuor loro sono già convertiti. Una cosa dell’altro mondo. Con un colpo di spugna, con un discorsetto inaugurale - non con un atto ufficiale, l’atto ufficiale è l’indizione del Concilio, poi alla fine ci sono i documenti approvati: le Costituzioni, i Decreti e le dichiarazioni documenti approvati – viene cambiata la pastorale della Chiesa. Quel discorsetto serviva a rivelare la sua mens, che era presumibilmente politica. A chi parla Giovanni XXIII per dire che la Chiesa non condanna più? Fino a Pio XII la Chiesa condannava a più non posso. Ma chi condannava la Chiesa? Ve lo siete mai chiesti? La Chiesa condannava i cattolici. Non gli ebrei, non i musulmani, non i luterani, ma i cattolici che sbagliavano nella dottrina o nella condotta. Che cosa aveva detto la Chiesa con Pio Pio XII? Ovunque, non solo in Italia, un cattolico che sostenga con il voto o con la propaganda o con altre azioni il «comunismo ateo» è da considerarsi un «apostata dalla fede», perché il comunismo sostiene una dottrina fondata sul materialismo ateo, e pertanto un cattolico, sostenendo quella dottrina era come se dicesse: approvo una dottrina contraria a quella della Chiesa. E questo si chiama apostasia. Ce l’aveva coi comunisti, con Breznev, con Kruscev? No, ce l’aveva con i cattolici. E quando Pio XII disse che la nouvelle théologie era sbagliata, con chi ce l’aveva? Con Henri de Lubac, con Yves Congar, con tutti quei teologi che avevano cominciato a riprendere nella teologia ufficiale della Chiesa, nei seminari, nelle Università gli errori del modernismo, già condannati solennemente da san Pio X. Le condanne dottrinali di Pio XII, dunque, riguardavano direttamente i cattolici. Erano le stesse eresie condannate da san Pio X seppur con parole nuove; ma le condanne erano per i cattolici. Ora invece arriva Giovanni XXIII che “non condanna più” e il PCI con l’Unità titolava: «Un Papa buono, finalmente! Non ci condanna più! Dialoga col comunismo!”.
Detto questo, qual è il dramma della Chiesa di oggi? La Chiesa di oggi segue una tendenza pastorale che parte dal discorso famoso, anzi famigerato di Giovanni XXIII (faccio fatica a chiamarlo san Giovanni XXIII, perché una canonizzazione che avviene fuori dalle leggi canoniche pone dei problemi), un discorso col quale apriva il Concilio vaticano II: Gaudet Mater Ecclesia. In questo discorso Giovanni XXIII diceva che la Chiesa mette da parte l’arma della condanna e usa quella della misericordia. La Chiesa sceglie di non condannare più gli errori perché si è resa conto che gli erranti già sanno di essere nell’errore e in cuor loro sono già convertiti. Una cosa dell’altro mondo. Con un colpo di spugna, con un discorsetto inaugurale - non con un atto ufficiale, l’atto ufficiale è l’indizione del Concilio, poi alla fine ci sono i documenti approvati: le Costituzioni, i Decreti e le dichiarazioni documenti approvati – viene cambiata la pastorale della Chiesa. Quel discorsetto serviva a rivelare la sua mens, che era presumibilmente politica. A chi parla Giovanni XXIII per dire che la Chiesa non condanna più? Fino a Pio XII la Chiesa condannava a più non posso. Ma chi condannava la Chiesa? Ve lo siete mai chiesti? La Chiesa condannava i cattolici. Non gli ebrei, non i musulmani, non i luterani, ma i cattolici che sbagliavano nella dottrina o nella condotta. Che cosa aveva detto la Chiesa con Pio Pio XII? Ovunque, non solo in Italia, un cattolico che sostenga con il voto o con la propaganda o con altre azioni il «comunismo ateo» è da considerarsi un «apostata dalla fede», perché il comunismo sostiene una dottrina fondata sul materialismo ateo, e pertanto un cattolico, sostenendo quella dottrina era come se dicesse: approvo una dottrina contraria a quella della Chiesa. E questo si chiama apostasia. Ce l’aveva coi comunisti, con Breznev, con Kruscev? No, ce l’aveva con i cattolici. E quando Pio XII disse che la nouvelle théologie era sbagliata, con chi ce l’aveva? Con Henri de Lubac, con Yves Congar, con tutti quei teologi che avevano cominciato a riprendere nella teologia ufficiale della Chiesa, nei seminari, nelle Università gli errori del modernismo, già condannati solennemente da san Pio X. Le condanne dottrinali di Pio XII, dunque, riguardavano direttamente i cattolici. Erano le stesse eresie condannate da san Pio X seppur con parole nuove; ma le condanne erano per i cattolici. Ora invece arriva Giovanni XXIII che “non condanna più” e il PCI con l’Unità titolava: «Un Papa buono, finalmente! Non ci condanna più! Dialoga col comunismo!”.
Lo stesso discorso vale per la scomunica latae sententiae che il Codice di diritto canonico di san Pio X commina
a tutti coloro che si iscrivevano alla Massoneria. Nella riforma del Codice del
1982 è stato tolto il nome “Massoneria”. Rimane il fatto che sono
irrimediabilmente scomunicati latae
sententiae coloro che aderiscono alle sette segrete anticristiane. E, anche
in questo caso, i capi massoni (esplicitamente non cattolici) dicevano, tutti
contenti: “Noi non siamo più scomunicati!”. Ma chi può venir scomunicato? Solo
un cattolico che viene dichiarato fuori dalla comunione ecclesiastica.
Il discorso del papa Giovanni XIII fu inteso in tutt’altro
modo, contro le sue stesse intenzioni. Certo, le intenzioni erano assurde, per
questo chiamo “famigerato” quel discorso, ma pur essendo assurde, se fossero
state accolte da persone con formazione teologica queste avrebbero detto: “Se
il papa non condanna più errori contrari alla buona dottrina commessi da
cattolici, non è che questi cattolici possono respirare: non possono respirare
per niente perché questi errori erano già stati condannati prima. Gli errori
son sempre gli stessi, non ci sono errori nuovi. Gli errori della Nouvelle théologie sono quelli
condannati già da san Pio X. L’evoluzionismo di Teilhard de Chardin già è stato
condannato da Pio XII nella Enciclica Humani
generis del 1950. Il Cardinal Kasper negli anni Sessanta scrive un libro, Jesus der Christ, pagine e pagine in
tedesco e poi tradotto in tutte le lingue, in cui afferma che Gesù non è Dio,
bisogna dire invece che è soltanto “Figlio di Dio”: questa è la
conclusione. Ma “figlio di Dio” può
voler dire tante cose: anche gli angeli, nella Bibbia, sono chiamati figli di
Dio … Questa è un’eresia. C’era bisogno che Paolo VI, poi Giovanni Paolo II e
poi Benedetto XVI lo scomunicassero? No, non c’era nessun bisogno perché già
era eretico, come lo erano Karl Rahner e Edward Schillebeeckx. Non c’era
bisogno di fare un nuovo enunciato di condanna (tecnicamente si chiama anatematismo):
«Chi dice che Gesù Cristo non è Dio, non è cattolico», questa si sapeva già dal
Concilio di Nicea. Di cosa c’era bisogno? C’era bisogno di fare il contrario di
quello che ha fatto Giovanni XXIII, ossia continuare ad affermare i dogmi della
fede e a condannare chi si ostina a negarli pubblicamente. Infatti, la Chiesa
non può confermare la propria dottrina,
i propri dogmi se, nello stesso tempo, non continua a riaffermare le proprie condanne. Perché le condanne sono l’altra
faccia della medesima medaglia del dogma. Questo lo dico, non perché mi
piaccia, non perché sia ideologicamente “tradizionalista”, giacché non lo sono: io sono cattolico e
teologo. I tradizionalisti hanno tutti il diritto di essere tali, in tutta libertà.
Io non lo sono perché, in quanto teologo, non posso essere teologo di un
orientamento, di una scuola, neppure della Scuola Romana cui si è fatto cenno
nella mia presentazione: come teologo devo essere fedelissimo al dogma (ed a
questo proposito ho scritto un libro adesso alla terza edizione, Vera e falsa teologia). La teologia consiste
in una lavoro scientifico che porta ad affermare molte cose come ipotesi purché siano tutte riconducibili
al dogma. Nel fare teologia, si parte
dal dogma, che è certezza assoluta, e
si arriva alle ipotesi che sono certezze relative.
Pertanto il teologo deve sempre stare attento, appena dice qualche cosa, a
mettere in chiaro ciò che è assolutamente vero. Se poi ho tempo e modo, se è
utile alle anime, io posso dire anche qualche mia opinione, o è un’opinione di
una scuola o è opinione di un maestro. Ma in genere nel tempo in cui andiamo,
che va di fretta, che va di fretta verso il precipizio (il precipizio della
perdizione delle anime, che è un’apostasia di massa, perché si tratta di popoli
interi che si scristianizzano), non c’è il tempo di andare a fare ricami e
teorie: bisogna andare a ribadire «dall’alto dei tetti», come dice Gesù, il
dogma, la verità, quella assoluta, l’unum
necessarium. Se uno nega che Gesù è Dio, non c’è più la salvezza. Gesù è
Dio che si è fatto uomo e ha sacrificato se stesso sulla Croce per meritarci la
salvezza. Se Gesù non è Dio, è finito tutto. Come dice san Paolo, «Se Cristo
non è risorto, vana è la nostra fede, siamo ancora nei nostri peccati».
Che cosa è successo? E’ successo che questa enorme confusione
dottrinale, introdotta da Giovanni XXIII, si è insinuata nell’interpretazione
del magistero del Concilio Vaticano II. Attenti alle parole precise che impiego
quando dico che questa falsa dottrina si è insinuata nell’interpretazione del magistero del Concilio Vaticano II. Le parole
sono precise: non voglio affermare che questa insensata azione pastorale (poi
divenuta anti-pastorale) di Giovanni XXIII si sia insinuata nel magistero
solenne di un Concilio ecumenico, ma che
ha permesso una falsa e abusiva interpretazione
dei documenti del Concilio Vaticano II. Questo, ad opera di molti periti
conciliari, il cui capofila fu Karl Rahner e ad opera di molti altri, vescovi e
cardinali, di poca dottrina e di poca intelligenza ma di molta politica. Il l
Concilio Vaticano II, però, in quanto atto del magistero è una cosa molto più
importante delle dottrine dei teologi. Anzi sovrasta e trascende la dottrina
dei teologi: il magistero non è teologia e la teologia non è il magistero. La
teologia è interpretazione del dogma,
e il magistero è formulazione del
dogma. A questo voglio arrivare, e debbo
essere forse noioso, perché qui bisogna che utilizzi le armi che ho, che sono
quelle della logica (che è filosofia)
applicata alla teologia, perché la
mia grande scoperta degli ultimi anni (grazie anche a Josef Ratzinger, con cui
ho discusso i temi del mio libro cui ho accennato, Vera e falsa teologia) è che la teologia attuale si rende
indipendente dal Magistero, si pone di fronte al Magistero, giudica il
Magistero, critica il Magistero. Di conseguenza, purtroppo, ci troviamo in
presenza di un magistero ecclesiastico intimidito: non nella persona divina di
Gesù stesso (l’unico Maestro) ma nelle persone umane che dovrebbero
rappresentarlo: queste, intimidite, paurose, pusillanimi (letteralmente da pusillus animus, animo piccolo), che
pensano più al successo mediatico che al sorriso di Gesù. Giovanni XXIII, Paolo
VI, talvolta anche san Giovanni Paolo II e persino Benedetto XVI hanno
cominciato ad aver paura dei teologi e a copiare il loro linguaggio, mettendolo
pure dentro i documenti del magistero, facendo più teologia che magistero. Che cos’è un documento che diventa
teologia? Un documento immenso, che non finisce più, come l’Amoris Laetitia, in cui c’è di tutto e il suo contrario, dove ciascuno può
andare a pescare la cosa che gli piace, il che è davvero una cosa pazzesca! E infatti
Amoris Laetitia è davvero un
documento pazzesco, perché c’è poco di magistero e molto di politica con il
linguaggio fumoso della falsa teologia; e soprattutto c’è un abbandono del dovere di insegnare. “Fate come vi pare”
sembra dire papa Francesco, e poi aggiunge: «La Chiesa non deve risolvere i
problemi dottrinali». Ma come, la Chiesa non deve risolvere i problemi
dottrinali?! E a che serve allora la Chiesa?! «Questi problemi lasciamoli ai
teologi», ha anche detto papa Francesco. Ma siamo matti?! Che possono fare i
teologi? Mentire? Bestemmiare? Indurre tutti all’apostasia? Se sono veri teologi
dicono: «Caro Santo Padre, queste cose sono già state spiegate bene. Sono
insegnamenti definitivi. Non c’è altro da dire». Non ha detto forse Gesù che
chi lascia la moglie per stare con un’altra donna commette adulterio? E che la
donna che è stata lasciata dal marito, se prende un altro uomo commette anche
lei adulterio? In latino mechatur, in
greco un atto di pornéia, un
adulterio, una porcheria. Questo è stato detto da Gesù stesso, che c’è da
ricamarci sopra?
La teologia invece vuole sovrastare il magistero, questi
teologi sono dei prepotenti. Loro tipico rappresentante in Italia è Enzo
Bianchi. Invitato da quasi tutti i
vescovi italiani. Quando andai a fare una conferenza ad Ancona, il vescovo (che
poi papa Francesco ha creato cardinale, non so per quali meriti) disse che non
sarebbe venuto ad ascoltarmi perché parlavo contro Enzo Bianchi che lui invece
ha fatto parlare in Duomo, davanti all’arcivescovo e tutti i suoi preti. Potrei parlare anche del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, marchigiano, il quale, dopo che io avevo
criticato su un blog Enzo Bianchi, mi ha
“condannato” alla pubblica vergogna per
aver tirato fuori i dogmi, il che per lui è il peggiore dei peccati. Si trattava in effetti di un articolo eretico,
che riprendeva la cristologica di Walter Kasper, pubblicato su Avvenire nella prima domenica di
Quaresima del 2012; in quell’articolo Enzo Bianchi diceva continuamente che
Gesù, «essendo creatura», si sottomette alla volontà del Padre come ogni altro
uomo. Ma dire che Gesù è una “creatura” è dire una cosa insopportabile; anche
dal punto di vista lessicale è una cosa senza senso: Lui è il Creatore, altro
che una creatura! La nostra fede dice che Cristo è colui «per quem omnia facta sunt»:
tutte le cose sono create da Gesù, che è Dio creatore, con la sapienza del
Verbo, con l’amore dello Spirito Santo. Allora ho scritto una risposta in
merito sul mio Blog, e Tarquinio, irritato, ha pubblicato sul quotidiano della
Cei la lettera di una falsa suora che diceva una cosa falsa: «Sono rimasta
scandalizzata da quel che ha scritto un certo Livi contro Enzo Bianchi». E
Tarquinio aggiungeva: «Ma chi è questo
Livi?» (senza sapere che io scrivevo su Avvenire
ancora prima che lui nascesse, così come ho scritto anche su L’Osservatore Romano, quando sia questo
sia Avvenire erano giornali
cattolici), «questo Livi che osa criticare Enzo Bianchi, un grande teologo che ha scritto cose bellissime, cose sentite e
profonde … e tira fuori giudizi come se si trovasse di fronte a un’eresia
ariana … udite, udite! Dice che Enzo Bianchi è eretico!». Peraltro, sbagliava
parlando di «eresia monofisita», quella secondo la quale Gesù è solo Dio … Per
poi concludere con un «Si vergogni, Livi!». Gli intellettuali cattolici che
collaboravano con Avvenire mandarono
delle recensioni del mio libro ad Avvenire
ma lui non solo non le pubblicò ma neppure si degnò di rispondere ai recensori.
Un ostracismo in nome della difesa di Enzo Bianchi “a prescindere”... Perché
tiro fuori Enzo Bianchi? Forse perché siamo in Italia? Di soggetti del genere
ce ne sono dappertutto: e sono tutti dei prepotenti. Con Enzo Bianchi ho avuto
una animata corrispondenza, ma lui dice sempre la stessa cosa: «La Chiesa va
avanti, non ci si può fermare»… Ma va “avanti”, dove? In che cosa? «Bisogna
riformare la Chiesa, non si può rimanere ai tempi di Pio XII…». In realtà Pio
XII è stato un grandissimo papa, che ha fatto quella cosa straordinaria che è la
proclamazione del dogma dell’Assunzione, nel 1950: già questo basterebbe per
cadere in ginocchio e venerarlo come santo. Avrebbe dovuto essere beatificato e
canonizzato negli anni Sessanta. Perché ciò non accadde? Perché gli Ebrei non
volevano, i comunisti non volevano: Ebrei e comunisti comandano oggi la
pastorale della Chiesa. Questo è il punto. La pastorale della Chiesa in mano a
persone che possono essere anche papi (li ho nominati tutti, ma con rispetto e devozione,
come ho fatto stamani menzionando rispettosamente Papa Francesco durante la celebrazione
della Messa) ma spesso si fanno prendere la mano dalla politica, dalla
diplomazia e dal complesso di inferiorità rispetto ai cattivi teologi cattolici
(i teologi filo-luterani) e rispetto al pensiero protestante, ebraico,
musulmano, induista e alla fine anche massonico. In fondo comandano proprio i
cosiddetti “laicisti”, e la Santa Sede sembra un notaio che si limita a
convalidare quel che loro hanno pensato e deciso per la Chiesa cattolica. Bene,
ci vuole l’immigrazione dall’Africa? E noi proponiamo l’immigrazione
dall’Africa, senza limiti. Ci vuole un pensiero unico internazionale? Anche per
noi va bene un pensiero unico internazionale. Non bisogna che le religioni si
facciano guerra? Bene, gli islamici ce la fanno, ma noi facciamo finta di
niente. Dobbiamo condannare le crociate? E noi condanniamo le crociate. Una
cosa da burla, senza nessun senso né storico né teologico. Si tratta solo di
politica.
Che cosa ha prodotto questa grande crisi? Attenzione: se
qualcuno dice “crisi della Chiesa” lo prendo a scapaccioni. È teologicamente sbagliato fare un’affermazione del genere
perché la Chiesa non è quel che vediamo noi. In tal caso sarebbe come se io
volessi giudicare la coscienza di questa signora che mi sta davanti dalla
maglietta che indossa. È vero che ha una maglietta nera, è
cosa oggettiva, ma è un dettaglio insignificante nel trattare dell’unum necessarium relativo a lei, e
cioè il sapere se è in grazia, se ha
buone intenzioni. La Chiesa è così: è fatta di tante persone, di tanti eventi
che di per sé possono essere anche evidenti, ma la Chiesa è un Mistero. La
Chiesa è Gesù Cristo capo di un Corpo Mistico composto da tutte le persone,
cioè da quelle persone che sono unite a Lui per il battesimo e sono in grazia
con Lui o la recuperano attraverso la Confessione. Questi sono i membri della
Chiesa.
Quando il Papa (che sciaguratamente dice, ogni tanto, cose
che non stanno né in cielo, perché non sono verità teologiche, né in terra, perché
non sono nemmeno di buon senso) dice a proposito dei divorziati risposati: “Loro
sono membra vive della Chiesa”, dice una follia. Lo dice perché in quel momento
lui in testa ha in mente l’idea di Chiesa come comunità, come un gruppo, come
una società meramente umana; cioè, detto in termini teologici, ha in mente una visione sociologica della
Chiesa, una visione che non è sbagliata in sé ma è assolutamente parziale: talmente
parziale che perde di vista l’unum necessarium che è l’unione personale
di ciascun cristiano con Cristo fino al
giorno della morte e della salvezza Questo è l’unum necessarium della
Chiesa. Se uno è in stato di peccato
mortale e non si vuole convertire, è inutile che il Papa gli dica: tu sei
membro della Chiesa: quello finisce dritto all’inferno. E a che serve che il
Papa lo consoli? E che consolazione è mai? È come se a un malato oncologico
terminale il dottor gli dicesse: “Non parliamo di quanto tempo ti rimane da
vivere, sono sciocchezze … parliamo della Juventus che può vincere ancora lo
scudetto…”. Ecco siamo su questo piano. Faccio qualche battuta di spirito per
fare quel che Blaise Pascal chiamava «le
divertissement». Pascal, che fu un grande filosofo cristiano, diceva che
l’uomo è così sicuro di essere destinato alla morte e talmente sicuro, come
cristiano, di essere destinato alla vita eterna, che sa di mettere in gioco la
vita col suo peccato, e quindi sa che si deve convertire. Ma se non vuole
convertirsi, allora vive nell’angoscia, e per sfuggire all’angoscia si distrae
con cose contingenti. Fa come Marta quando ha accanto Maria «che fa la parte
migliore che non le sarà tolta». Non fa cose sbagliate o false, ma fa cose inutili
ai fini della vita eterna.
Ho detto una cosa teologica che non è mia. Se fosse mia
sarebbe soltanto un’opinione, e invece, poiché non è mia ma appartiene al
dogma, è assolutamente vera. Non è vera perché la dico io, ma poiché è vera
allora la affermo. Io sono un professore
di logica e la logica è fondamentale per il ragionamento teologico. Il
ragionamento teologico senza la logica, che implica la metafisica, si perde in
chiacchiere. Che cosa ha fatto il demonio tramite i cattivi teologi che hanno
seguito i luterani, in specie quelli dell’Ottocento, cioè con Hegel e
specialmente con Schelling e poi coi luterani del Novecento, specialmente con
Karl Barth? Questi teologi luterani hanno distrutto nel cristianesimo le
premesse razionali. Sono tutti fideisti, perché il luteranesimo nasce sulla
premessa del fideismo. Lutero diceva che la ragione è la “puttana del diavolo”,
letteralmente. Non invento niente, lui è sempre stato così, brutale e osceno,
sia nei comportamenti sia nelle parole, anche se qualcuno ha detto che è stato
un mistico. La ragione, Aristotele, san Tommaso d’Aquino, la Scolastica, la
metafisica sono definite da Lutero “armi del demonio per confondere la fede”,
perché la fede deve essere una fede “pura”, senza altro che non sia la fiducia
in Dio e senza ragionamenti. Fideismo. Fideismo che la Chiesa continuamente
condanna perché col fideismo non si va da nessuna parte. Fideismo significa
credere senza motivo, e se io faccio apostolato con questa falsa fede induco
alcuni a credere senza motivo, oppure induco a credere in una cosa con motivi miei, i quali però sono incomunicabili
perché una fede soggettiva è incomunicabile. Come sono incomunicabili le
rivelazioni private di una persona che afferma d’aver parlato con Dio. Anche
Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, non lo è per le sue visioni ma per quello
che ha scritto facendo vagliare tutto quello che scriveva dai suoi Superiori
del suo Ordine monastico dei Carmelitani Scalzi e dai dotti Gesuiti che
venivano cercati in tutta la Spagna. Dai luterani questa cattiva teologia
cattolica ha imparato la cosa peggiore: disprezzare la metafisica. Disprezzare
la metafisica vuol dire due cose ben precise, non è retorica. Non è come quel bambino del catechismo che diceva:
«Sì, sì, la Trinità. Dio è Padre, Figlio, Spirito Santo, eccetera …». L’et cetera, il lasciare il discorso nel
vago come se fosse una enumerazione infinita, è tipico della retorica, in
quanto è tipico della retorica non sapere dove i discorsi cominciano e dove vadano
a finire, mentre i discorsi dogmatici si sa benissimo dove cominciano e dove
finiscono. Io vi sto facendo un discorso dogmatico. La fede cattolica e la sua esposizione
dottrinale hanno bisogno della logica e della metafisica. E tutte e due queste
cose compendiano delle dottrine fondamentali che sono: 1) la dottrina dei praeambula fidei, ossia di quelle
certezze naturali che sono condizioni di possibilità per avere la fede. 2) l’esistenza
di una legge morale naturale. Queste
condizioni sono necessarie prima della teologia e prima della fede. Tant’è vero
che i sapienti dell’antichità pre-cristiana avevano questi due elementi già
prima della teologia e prima della fede. Perché l’esistenza di Dio era di
conoscenza naturale in tutti i popoli, sia a livello religioso sia a livello
filosofico. Prima della Rivelazione cristiana, tutti i filosofi erano teisti:
tutti, nessuno escluso. E per quanto riguarda il diritto naturale, tutti i
filosofi prima di Cristo sapevano che esiste una Legge fatta dall’Imperatore, lex hominis, lex humana, lex imperii,
ma prima di questa, per legittimare ogni legge positiva, c’era una legge
naturale grazie alla quale tutti gli uomini sono in grado di distinguere il
bene dal male, vero dal falso, ciò che giova al bene comune da ciò che gli nuoce,
ciò che è diritto di chi comanda da ciò
che è diritto di chi obbedisce. Questi due elementi sono messi da parte dalla
teologia protestante e in modo particolare da Karl Barth. Sarà anche un grande
teologo … venne anche a Roma durante il Vaticano II a dire tante belle cose,
che viene considerato tanto amico nostro, ma intanto ha passato tutta la vita a
dire che non abbiamo nessuna conoscenza naturale di Dio, abbiamo solo la
fede. La fede ci dà un Dio con il quale
non c’è alcun rapporto razionale, del quale non sappiamo niente. Ma se non c’è
il diritto naturale e se non ci sono i praeambula
fidei non c’è fede autenticamente cristiana. Dieci anni or sono ebbi una
discussione in pubblico con il vescovo Rino Fisichella (che attualmente è colui
che per incarico del Papa dirige l’Anno Santo) e coi i teologi della facoltà di
Teologia, perché affermavano che la teologia comincia con l’esperienza di Dio:
“conosci Gesù Cristo – dicevano - e da lì conosci Dio”. Ma è assurdo. Se
andiamo a vedere il Vangelo Gesù non ha mai detto: “Vi do una bella notizia: la
bella notizia è che Dio esiste e Io sono Lui”. Che Dio esiste lo sapevano gli Ebrei
e tutti gli altri popoli. Gesù non ci ha rivelato che Dio esiste ma che Dio è
Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Figlio si è fatto uomo. Cosa ben
diversa. La fede non riguarda l’esistenza di Dio ma la Trinità, l’Incarnazione,
la Passione, Morte e Risurrezione di Nostro signore Gesù Cristo. Come si fa a
dire che tutto comincia dalla fede? Se tutto comincia dalla fede con quali
motivi uno crede? Con quali motivi uno sceglie il Vangelo, invece del Corano o
dei Veda? O l’Odissea? Si dice che basta la Bibbia … ma questa è una idiozia
teologica di Lutero! “sola Scriptura”
… La Scrittura che cos’è? un libro a dare testimonianza di sé? Noi accettiamo
al Scrittura perché questa proviene dalla Chiesa, a cominciare dagli Apostoli.
Metto
le cose in burla perché sono così drammatiche che se non mi metto un po’ a
ridere mi viene da piangere. Quanto male si fa con delle cose che sono diaboliche,
perché mettono in pericolo l’unica cosa che conta, la salvezza delle anime. Oltre
tutto, si tratta di cose illogiche, sciocche, immotivate, insostenibili,
ingiustificabili (uso tutti aggettivi della logica aletica). Se voi pensate che
i cristiani siano per forza le persone che credono alla Scrittura, allora Santo
Stefano sarà pure martire ma certamente non cristiano... E tutta quella gente, quei
tremila uomini che si convertirono alla predicazione di Pietro il giorno della
Pentecoste non erano cristiani… Sapete che la redazione del Nuovo Testamento si
è conclusa nel 110 dell’era cristiana, e allora prima che è successo? Che ne è
di coloro che hanno creduto al Vangelo, predicato dagli Apostoli, senza il Nuovo
Testamento? In definitiva, Nuovo Testamento che cos’è? E’ la raccolta di libri
che la Chiesa assicura essere ispirati da Dio e che documentano la rivelazione
di Gesù Cristo. Non è niente al di fuori o indipendentemente dalla Chiesa Madre
e Maestra. Si può dire che il Nuovo Testamento è uno strumento didattico, uno
strumento catechistico della Chiesa. Anche quando c’era l’analfabetismo
dominante, questo non costituiva un
problema: perché la Chiesa diceva le stesse cose in tanti altri modi, anche con
le immagini come i mosaici di Monreale a Palermo. Si conosceva la storia sacra,
si conoscevano le cose fondamentali della fede. Ricordate come giunge alla fede
cristiana il ministro della regina Candace dell’Etiopia? L’episodio è narrato da
San Luca negli Atti degli Apostoli.
Per poterlo battezzare, che cosa gli chiede il diacono Fiippo? Gli chiede: «Tu
credi che quel passo del Libro del Profeta di Isaia che hai letto si riferisca
a Gesù che è venuto? Credi che Gesù sia risorto, che è il nostro Salvatore, che
ci ha rivelato che egli è Dio, e che Dio è il Padre che ci ha creati, il Figlio
che è venuto da noi e lo Spirito Santo che ci santifica? Dici di sì, che lo
credi? Allora scendi giù dal carro che io
ti battezzo immergendoti nell’acqua di questa fonte». E quell’uomo se ne tornò
tutto contento, da solo in Etiopia, bell’e battezzato. Non c’era stato bisogno
di fargli leggere qualche libro del Nuovo Testamento, è bastata la predicazione
dei diacono Filippo, nominato e inviato dagli Apostoli. Nella conversione di
quell’uomo c’era stato l’unum necessarium
per l’annuncio della fede, e questo è
la dottrina degli Apostoli (così si chiama uno dei primi libri di dottrina della
Patristica dell’età sub apostolica, la Didaché,
“Dottrina dei dodici apostoli”). Invece nel Cinquecento arriva Lutero e parla
di «sola Scriptura» , per di più
interpretata soggettivamente. Il motivo teologico è questo: secondo la teoria
eretica di Lutero (anche se non c’è dato
scritturistico, patristico e magisteriale che la possa suffragare), quando uno
prende in mano la Scrittura, lo Spirito santo lo illumina e gli dice la verità…
Fantasie, ma fantasie tremende, perché con la sola Scrittura viene a mancare il
Magistero, ma senza Magistero non c’è fede nella Parola di Dio, che è la
Rivelazione pubblica. Con la sola Scrittura non c’è autentica fede ecclesiale ma
adesione a una setta (che poi diventano mille sette, perché a forza di «libero
esame», ciascuno la vede a modo suo).
È
importante capire tutte queste cose per la confusione in cui siamo perché non è
colpa del Vaticano II ma dei cattivi teologi che hanno influito sui papi
facendo loro compiere a queste operazioni pseudo-teologiche invece di
evangelizzare e catechizzare sulla base del dogma. L’amico Enrico Maria Radaelli,
che ha scritto due libri sulla questione, ha detto giustamente che la Chiesa ha
rinunciato alla sua funzione essenziale, che è quella dogmatica. E ha ragione,
anche se la Chiesa non è ribaltata come dice lui (il titolo di uno dei suoi
libri, infatti, è La Chiesa ribaltata),
perché io non sono ribaltato, lui non è ribaltato, non sono ribaltate le tante
persone buone che si mantengono fedeli al dogma. Persone che, grazie a una
sorta di sesto senso soprannaturale, non ascoltano i cattivi Pastori e i falsi
profeti e danno ascolto solo ai veri testimoni della fede. Perché, ad esempio,
ha avuto tanto successo spirituale padre Pio? Penso a mia madre e alle fatiche
inenarrabili nel dopoguerra per andarlo a visitare. E lui che non predicava se
non la Santa Croce, la Messa, la confessione, il dovere di ciascun cristiano nel proprio stato di vita: le cose di sempre, quelle tradizionali cioè l’unum necessarium.
Stando
così le cose: qual è il succo di questo discorso? Noi dobbiamo vedere con
lucidità - anche con l’aiuto di chi dice cose teologicamente vere e certe come
quelle che vi sto dicendo - che nella Chiesa c’è una grande crisi pastorale,
ossia una condotta non sempre illuminata dei Pastori, e anche una influenza
tremenda dei mass media che, anche
quando sono etichettati come cattolici, sono in larga misura di proprietà
finanziaria e ideologica della Massoneria: ed è così in tutto il mondo. Direte:
ma sul Sole 24 ore scrive
domenicalmente un cardinale, Gianfranco Ravasi. Sì, un cardinale massone, lo ha
detto lui stesso scrivendo un mese fa su La
Stampa chiedendo perdono ai suoi “fratelli massoni” perché a volte nella
Chiesa sono trattati male, ma adesso ci penserà lui a fare un bel dialogo ad
abbattere le barriere … Ovviamente il giornale massonico degli Agnelli esultava
per questa “apertura”. Apertura, apertura, apertura … prima ai comunisti, poi
agli islamici, poi agli induisti, quindi ai gay, ora a Lutero per il 2017… Tutte
aperture che sono, se uno non è sciocco capisce che sono operazioni politiche
create dalla paura di essere spazzati fuori. Parlo molto coi cardinali di Curia
che la pensano come me ma poi non riescono a
fiatare. Ma di che hanno paura? Mi dicono: «Ha visto che è successo al
cardinale Burke?». Sì, lo so, ma voi siete ormai emeriti, come lo sono io, quel
che hanno potuto fare contro di me ormai lo hanno fatto. Di che avere paura? Io
rispetto l’autorità, ma se una pastorale è sbagliata ho tutto il dovere (oltre
che il diritto) di dire che si tratta di una pastorale sbagliata. Una dottrina
sbagliata, invece, è impossibile. La Chiesa ha una sola cosa garantita da Gesù
Cristo: l’infallibilità nell’insegnare formalmente
la verità rivelata. Con un carisma particolare per cui è impossibile che il
papa da solo o assieme al collegio episcopale e cardinalizio pronunci una
affermazione apodittica che sia
eretica: o perché Dio impedisce di parlare al Papa o perché al momento di
firmare un documento gli prende un colpo e muore, oppure si converte. Oppure può
succedere quello che sta succedendo oggi, e cioè che riguardo al dogma della
fede il Papa non si decida mai a dire una parola chiara. Cosa penosissima e
terribile, lo dico col pianto nell’anima: il Papa ha deciso, da tre anni in
qua, di non dire mai una parola chiara riguardo al dogma della fede. Papa
Francesco insinua dei dubbi, quello che sarebbe più grave lo fa dire agli
altri, oppure lo fa capire ma non lo dice. Il suo stile magisteriale è fato di
frasi a effetto, contradittorie e ambigue, che appartengono alla maniera tradizionale con
cui Il Magistero espone ai fedeli la dottrina. Perché il dogma è fatto di poche
parole chiare, che formano asserzioni inconfutabili, mentre invece come ho
scritto più volte a proposito dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, il Papa ha voluto essere volutamente ambiguo. Perché? Perché da
una parte vorrebbe dire cose sostanzialmente eretiche, e dall’altra sa che non
le può dire. Per esempio, tutti hanno letto e riletto il discorso su «Se un gay
è di buona volontà e cerca Dio, chi sono io per giudicarlo?». Una frase che può
significare tutto ma in realtà non significa niente: che significa “giudicare”?
Gesù ci ha proibito di giudicare. Cioè non possiamo giudicare la coscienza
degli uomini, perché non la possiamo conoscere. Però allo stesso tempo Cristo dà
alla Chiesa il potere di giudicare sui fatti esteriori, per dire se sono parole
o azioni conformi alla morale o alla dottrina della Chiesa. Queste vanno
effettivamente giudicate. Il Catechismo
della Chiesa cattolica, prima che il Papa dicesse tutte queste cose vaghe,
ha detto esattamente tutto ciò che andava detto sulla questione degli
omosessuali. Non si sa se l’omosessualità sia volontaria e involontaria, e poi
bisogna distinguere tra una tendenza e certi atti esteriori (visto che, agli
occhi di Dio, una cosa è la tendenza
un’altra i comportamenti) … ma chi compie volontariamente atti omosessuali è
reo di un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio. Basta, punto. Se
aggiungi altre cose, sei già nell’ambiguità, e hai rovinato la pastorale. «Se
un gay ha buona volontà e cerca Dio», la Chiesa che deve fare? Aiutiamolo a
convertirsi, a lottare contro le tentazioni come chiunque abbia insane
passioni: cercando Dio, facendosi aiutare dalla direzione spirituale e dai
sacramenti a correggersi, a frenarsi, a inibire al propria libidine. Questa è la
cosa normale in un contesto cristiano di
verità dogmatica, morale e ascetica.
La
conclusione è: che cosa deve fare un cattolico che sia laico o sacerdote in
questa situazione della Chiesa che vive una fase di disorientamento nella
dottrina e nella pastorale? Noi non sappiamo quante siano le persone in grazia
di Dio; non sappiamo chi siano quelle
che si salveranno o si perderanno; nemmeno possiamo giudicare le intenzioni dei
Pastori che apparentemente fanno cose insensate, noi non dobbiamo giudicare
nessuno. Vediamo i fatti esteriori: se vediamo che diminuisce la presenza alla
Santa Messa dei giorni festivi e la frequenza delle Confessioni, se vediamo
interi Paesi come il Belgio e l’Olanda
dove la confessione non esiste più (un fatto pastorale gravissimo e obiettivo),
se abbiamo dati allarmanti sulle vocazioni sacerdotali e religiose, che cosa
dobbiamo concludere? Prendiamo atto di
questi dati esteriori e possiamo fare qualche prudente valutazione di
sociologia ecclesiastica: ripeto però che si tratta soltanto di sociologia
ecclesiastica, e tutte le valutazioni sociologiche sono molto relative rispetto
a chi fa l’indagine, in quale tempo, in quale luogo e senza pensare a tutte le
evoluzioni che ci sono continuamente, tenendo presente che quello che si vede
nei nostri Paesi occidentali non è quello che c’è nella Cina comunista. Molti
di quelli che fanno analisi sulla Chiesa ignorano quel che accade in Cina, dove
ci sono milioni e milioni di eroi e di martiri tra vescovi, preti e laici. E un
regime terribile, quello comunista cinese, anche se nessuno lo etichetta mai
così (ci si guarda bene peraltro dal segnalare che lì vi è la maggiore quantità
di esecuzioni capitali). Non si alza la voce per denunciare la persecuzione dei
cristiani in Cina e nei Paesi islamici perché da quelle parti ci sono miliardi di
persone, potenze politiche e mercati in ascesa. Ora, queste sono valutazioni
politiche, diplomatiche e commerciali: ma può la Chiesa usare soltanto questi
parametri? La Chiesa è forse un’entità politico-diplomatica-commerciale? La
Chiesa di Cristo ha un unico dovere, anche di fronte ai persecutori, quello di
annunciare il vangelo. Come diceva san Paolo:«Guai a me se non evangelizzo!». Invece abbiamo visto dei Papi che
evidentemente hanno pensato: «Guai a me se non faccio accordi con la sinagoga e
con la moschea». Mi riferisco, per esempio, a san Giovanni Paolo II, che pure è
un gigante della fede ed è stato pure
mio amico e ha scritto una cosa stupenda e meravigliosa come l’enciclica Fides et ratio, del 1998, enciclica che
ribadisce la necessità della metafisica per la fede cristiana e la teologia
cattolica. Un’opera straordinaria, ma che cosa è successo poi con questa
enciclica? È stata messa da parte dalla Santa Sede stessa. Nell’Università del
Papa, la Lateranense mi dissero: «Smetta di parlare di questa enciclica perché
è superata». Che vuol dire “superata”? «Vuol dire che non segue le correnti
attuali della teologia (ermeneutica, storicismo, dialettica) ed è tornata alla
teologia pre-conciliare; è stata una debolezza del Papa che ha dato retta ad
alcuni …». Eppure è un enciclica che stabilisce perentoriamente le norme per lo
studio e l’insegnamento della teologia nella Chiesa: si vede che le encicliche che
piacciono fanno testo, quello che non piacciono no . Mah …
Che
bisogna fare, allora? Laici o sacerdoti hanno la necessità di badare all’unum necessarium. Io la fede devo preservarla, custodirla, svilupparla. Pertanto cerco
dei confessori che siano dotti e pii, come faceva santa Teresa. E me li scelgo
io. I laici sappiano che non hanno l’obbligo di andare da nessuna parte, non
c’è alcun obbligo di andare in una parrocchia particolare. Non c’è obbligo di
legarsi a nessuno. Nemmeno ai Papi. Perché ho parlato di Giovanni Paolo II?
Perché Giovanni Paolo II che ha fatto quella bellissima enciclica allo stesso
tempo ha fatto delle cose, trascinato da questa corrente della politica e della
diplomazia ecclesiastica, che sono disastrose come la famosa riunione inter-religiosa
di Assisi. Dove sono state fatte della cose, certo non erano nella sua volontà,
che fecero orrore sul Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede,
cardinal Ratzinger, come mettere una statua di Budda sull’altare. O quando è
andata nella Sinagoga di Roma o nella
Moschea in Marocco. Eppure si tratta di un santo. Ma come dicevo stamani
nell’omelia, ricordando le parole del mio babbo: “Sbaglia anche il prete
all’altare” e può sbagliare anche il Papa nelle sue iniziative pastorali e
disciplinari e nei suoi discorsi improvvisati e di circostanza. L’importante è
che noi non giudichiamo né la persona né le intenzioni. Ma se una cosa, alla
luce delle verità di fede, è sbagliata che cosa dobbiamo fare: gridare? Fare
propaganda contro il Papa? Qualcuno la fa, può avere delle ragioni e può essere
legittimo io preferisco invece, come diceva un santo del Novecento, San
Josemaría Escrivá: «Affogare il male nell’abbondanza del bene”, dare buona
dottrina, indirizzare alle fonti autentiche della dottrina. Io ripeto a tutti:
non vi smarrite, non cedete al turbamento, non perdete il retto criterio della
fede, sappiate che realmente non è
cambiato niente, nessuno ha eliminato la Sacra Scrittura, nessuno ha abrogato
il Catechismo della Chiesa Cattolica,
nessuno ha detto che non è più in vigore il Codice
di Diritto Canonico. In questi tre
testi libri c’è tutto quan to basta per sapere qual è la fede cui
dobbiamo essere fedeli e le leggi della Chiesa cui dobbiamo obbedire. Non c’è
bisogno di altro. Non c’è bisogno di sapere al mattino, quando leggiamo il
giornale o accendiamo la televisione, che cosa ha detto oggi il Papa a santa Marta,
che cosa ha detto per telefono a Scalfari o alla Bonino. Ricordo che c’era un
giornaletto di Comunione Liberazione che si chiamava “La traccia” e iniziò le
pubblicazioni quando fu eletto Giovanni Paolo II, che cominciò ad attirare l’interesse
e l’affetto di tutto il mondo cattolico, a partire dal saluto ai fedeli in
piazza San Pietro: «Se mi sbaglio mi corrigerete!». Allora tutti a seguire i
discorsi di Giovanni Paolo II, tutti a leggere
ogni discorso pubblicato su “La traccia”, ma dopo un anno di continuo magistero
quotidiano (dei venticinque anni di pontificato) anch’io pensai che non c’era
il tempo materiale di leggere tutto quello che andava dicendolo, perché ogni
giorno sfornava dieci discorsi. Lo lasciai da parte concentrandomi solo su ciò
che era importante. I Papi adesso hanno questa mania di parlare continuamente e
di parlare anche informalmente, di lasciare anche interviste. Quando mai Pio
XII rilasciò interviste a un giornalista e per di più massone? Eppure stiamo
parlando di un papa che fu un eroe: sapete che aveva preparato una lettera di
dimissioni in caso di rapimento da parte di Hitler. Se fosse stato deportato in
Germania, disse, avrebbero deportato il cardinale Pacelli ma non il Papa. Era
un uomo preparato al martirio pur di non cedere a Hitler. E nonostante tutto
venne accusato (da ebrei e comunisti) di essere addirittura “il Papa di Hitler”.
Dobbiamo affogare il male nell’abbondanza di bene. Fare il nostro apostolato in
famiglia e dappertutto, indirizzando verso le vere fonti della fede. E per
ultimo, un criterio che è fondamentale, che è filosofico, teologico ma anche
molto pratico: bisogna saper distinguere le opinioni
– che magari sono anche buone, ma che sono semplici opinioni che non possono
essere garantite perché non sono oggetto di fede umana e neanche divina - dalle
verità rivelate che sono da credere
con fede divine ed ecclesiastica. Bisogna saper individuare sempre quello che
può essere garantito come verità rivelata da Dio e confermata dalla Chiesa nei
dogmi. Queste verità sono poche ma assolutamente necessarie per la salvezza della
nostra anima e per la predicazione del Vangelo; il resto, le opinioni, possono
essere utili, magari anche necessarie, ma relativamente
necessarie, come lo sono, ad esempio, le varie spiritualità che lo Spirito
Santo ha suscito nella vita della Chiesa: la spiritualità domenicana,
francescana, salesiana, gesuitica … tutte buone, ma tutte solo relativamente buone essendo solo una parte del tutto che è la
spiritualità cristiana (l’imitazione di Cristo) ed essendo desinate solo a una parte del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa (cioè a chi ha quella
speciale vocazione).
Livorno, 1
ottobre 2016
Bellissima, chiarissima.
RispondiEliminaBellissima, chiarissima.
RispondiEliminaGracias, monseñor Antonio Livi. Gracias de corazón por su palabras llenas de claridad y verdad. Y gracias al blog Messa in Latino que me ha facilitado este enlace. GRAZIE DI CUORE!
RispondiEliminaChiaro e confortante. Grazie
RispondiElimina